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Si è tenuto il 19 e 20 novembre 2016 nella Casa Cardinal Schuster di Milano il convegno “Disabilità e relazioni familiari nell’infanzia e nell’adolescenza”, promosso dalla Sezione AIAS della Città. Il convegno proseguiva idealmente quello organizzato lo scorso anno sul tema della “cura”, ampliando in una nuova visione il concetto della “presa in carico” come un prendersi cura della persona con disabilità e della sua famiglia.

 E' emerso in modo evidente il bisogno di coinvolgimento in una visione concentrica non solo dell’individuo, ma di tutti i sistemi che ruotano intorno alla persona quali la famiglia, la scuola, il contesto di inserimento sociale e le istituzioni.

L’avvio ai lavori è stato affidato all’intervento del  Prof. Arconzo, Delegato del Rettore per le disabilità ed handicap dell’Università degli Studi di Milano che ha ricordato che “esiste la disabilità quando ci sono barriere” (come scritto anche nella Convenzione ONU del 2006) e “dev’essere l’individuo al centro, non la sua patologia, perché possano essere sviluppati i propri potenziali, talenti e creatività”.

A seguire il Dott. Ciliberto, psicoterapeuta di AIAS, ha spostato l’accento dal ‘problema’ della disabilità a quello della ‘preoccupazione’ intesa come possibilità di “occuparsi prima”: l’impatto delle disabilità sulle dinamiche familiari e istituzionali può essere contenuto da una co-costruzione dell’intervento a priori, attraverso una precoce formazione degli educatori, della famiglia e della società per poi declinarlo individualmente nell’esperienza della disabilità del singolo individuo.

Le relazioni tenute nelle due giornate dalla Dott.ssa Vizziello, Dirigente Responsabile dell’Unità Disabilità Complesse e Malattie Rare del Policlinico di Milano, hanno sottolineato quanto il contesto possa essere “impressivo e facilitante” sull’individuo e come ogni sistema attorno alla persona con disabilità diventi attivatore di resilienza quando il lavoro venga organizzato e concentrato sulle risorse della famiglia, degli operatori e della scuola. Un nodo fondamentale è dunque il poter costruire “un’equipe di transizione” per il passaggio alla maggiore età ed al tempo stesso è altrettanto fondamentale pensare da subito, nelle disabilità complesse, al “dopo di noi” non solo in termini istituzionali, ma anche e soprattutto culturali: “Il passaggio al dopo di noi viene da lontano ed è una questione di tempo, di spazio e di qualità dell’esistenza che deve facilitare la trasformazione culturale del dopo di noi in quello del con noi”.

Il Dott. Passerini, Presidente e psicoterapeuta della Scuola Internazionale con la Procedura Immaginativa SISPI, ha illustrato il caso di una madre di una bambina con grave disabilità che grazie ad un percorso di psicoterapia è riuscita “ad oggettivare l’angoscia del desiderio di morte della figlia ed ha permesso ad un barlume di speranza di apparire, nonché di formulare un progetto esistenziale per la figlia ora adulta”.

La Dott.ssa Crivelli, Psicopedagogista Anffas di Crema, e il Dott. Moscone, Presidente e psicoterapeuta di Spazio Asperger Onlus, hanno dedicato ampio spazio al significato dell’insegnamento delle abilità sociali nella persona con Sindrome di Asperger; in particolare è stata sottolineata l’importanza di un cambiamento, ossia che “il professionista metta in atto una rivoluzione copernicana rispetto al suo ruolo, attivando una relazione paritetica con la famiglia in cui quest’ultima diventa co-terapeuta ed esperta del proprio figlio”.

Proseguendo nei lavori la Vicepresidente dell’Associazione Spazio Nautilus Onlus di Milano, Simonetta Sizzi, ha rappresentato le criticità di diagnosi tardive o errate di ragazzi Asperger e l’importanza di una formazione immediata dei genitori perché sostengano ed aiutino i loro figli nell’apprendimento delle abilità sociali. All’interno dell’intervento, la testimonianza di Valerio Cantore, ragazzo con Sindrome di Asperger, ha sottolineato anche la necessità di una maggiore formazione degli operatori nel riconoscimento della neurodiversità.

Il concetto di neurodiversità è stato ripreso dal Dott.Vagni, Vicepresidente di Spazio Asperger Onlus. In qualità di advocate, ha portato all’attenzione della platea il tema dello sviluppo neurologico atipico che caratterizza lo spettro autistico ed ha promosso una visione della neurodiversità con delle implicazioni bio-psico-sociali sostanziali: essere Asperger significa avere un funzionamento neurodiverso, non neurotipico, in cui la disabilità non è una diretta conseguenza se non quando la persona Asperger non viene riconosciuta ed accettata come tale.

L’intervento della Dott.ssa Berardi, psicoterapeuta che da anni si occupa di disabilità e sessualità, ha  sottolineato l’erronea visione comune per cui socialmente la persona con disabilità sia desessualizzata e infantilizzata e di quanta strada sia ancora necessaria per arrivare alla comprensione della sessualità come concetto che comprende “la persona, la relazione, il corpo e il linguaggio”. Più in generale, infatti, soprattutto nella disabilità complessa, alcuni comportamenti problematici che compaiono in adolescenza potrebbero essere ricondotti alla sessualità in maturazione e devono quindi poter essere compresi come tali: “Non si può eliminare quel comportamento perché ci inquieta o ci dà fastidio, perché sarebbe come eliminare una parte della persona, ma bisogna capirne il significato”.

In ultimo, il Prof. Fesce, Professore Ordinario di Fisiologia dell’Università di Insubria e psicoterapeuta SISPI, nel suo intervento ha relazionato su come malattie croniche organiche del bambino abbiano ripercussioni anche nel rapporto genitori-figlio, che diviene dunque un rapporto genitori-malattia-figlio. A sostegno di questi concetti ha proposto al pubblico in sala il caso di un trapianto d’organo in giovane età con eventi traumatici post-trapianto, in cui la disabilità diventa una condizione stabile dell’identità familiare e personale, con uno sviluppo di un quadro post-traumatico da stress che investe l’individuo e il suo modo di relazionarsi anche da adulto.

Le due giornate sono state chiuse dalle conclusioni della Dott.ssa Ninotti, Direttrice Sanitaria di AIAS di Milano Onlus e moderatrice del dibattito e della due giorni. Nell’ intervento ha sottolineato l’importanza per cui gli operatori e i sistemi intorno alle persone con disabilità diventino “agenti attivi” di cura, non solo attraverso una formazione tecnica ma anche mediante una ridefinizione culturale. Progettare un percorso di riabilitazione non può e non deve escludere il coinvolgimento “abilitante “della famiglia e della scuola con quel bambino e quell’adolescente con disabilità. Nei casi più complessi il passaggio alla maggiore età ed il ‘dopo di noi’ rimangono dei nodi critici su cui il pensiero e la “pre-occupazione” devono essere precocemente attivati attraverso una rimodulazione della società e dalla sanità, che permettano lo sviluppo tempestivo delle risorse individuali, familiari e contestuali anche prima dell’emergere del bisogno stesso.